LA FISCALITÀ NON SERVE A FAR FUNZIONARE LO STATO....

La fiscalità non serve a far funzionare uno Stato. La fiscalità è la pena che la nazione sconta per essere assolta dai suoi peccati. Quali sono i peccati? ...la disonestà, la prepotenza, il sopruso, la slealtà e l’invidia. Peccati che non possono mancare in una comunità fatta d’uomini, animali con la tara genetica dell’irrazionalità che per una sorta di bizzarro parossismo è la loro intelligenza.

Non c’è nulla che lo Stato debba avere in esclusiva, ma una nazione può decidere di ordinarsi in Stato se ritiene opportuno imporre a tutti i suoi componenti un controllo fatto di terzialità. La difesa del territorio, l’arbitrato nelle dispute, le pene da conferire per i reati contro la comunità e gli individui che la compongono. Null’altro.
È vero, però, che una comunità priva di personalità perché troppo giovane o perché nata per imposizione militare o a causa di individui la cui aspirazione è il governo sugli altri componenti, trascende con l’intromissione in ambiti che non competono allo Stato e da cui lo Stato dovrebbe essere tenuto lontano come lontano è il Sole dalla Terra.

La fiscalità toglie a chi ha. Sottrae, deduce, leva, ruba, rapina, impoverisce, depaupera, dissangua, inaridisce, indebolisce chi ha realizzato un’utilità per sé e per gli altri col proprio agire. Se non fosse fatto in nome dello Stato sarebbe un reato penale senza alcuna attenuante. L’errore è fare dello Stato l’entità superiore, quasi un essere divino, poiché ciò divide la comunità in due gruppi distinti di individui: coloro che compongono lo Stato, cioè sono lo Stato, e coloro che lo subiscono senza potersene difendere.

Superiamo questa premessa ed immaginiamo due sistemi fiscali in concorrenza, cioè rassegnamoci alla condanna dell’imposizione fiscale come accettabile per capire se c’è una via d’uscita. In Europa, in generale ed in Italia in particolare, è lo Stato il titolare dell’imposizione fiscale. Ha su ogni cittadino della nazione la possibilità di imporre la sottrazione del suo patrimonio in base a regole che la politica stabilisce ed in misura della vocazione politica autoritaria ad esprimerla con più o meno forza.
Supponiamo che possa essere diverso pur rimanendo nell’ambito della comunità nazionale per come la conosciamo. Ogni componente della comunità paghi le tasse al comune, il comune contratti la propria quota di partecipazione con la Provincia, la Provincia con la Regione e la Regione con l’Unione Europea.

Il cittadino non si troverebbe ad affrontare un mostro gigantesco, invincibile perché protervo nella sua assoluta superiorità verso il singolo individuo, ma vi sarebbe contrattazione tra pari, il cui valore può essere giudicato da ogni cittadino in funzione delle aspirazioni della comunità di appartenenza ed ad essa vi parteciperebbe con la consapevolezza dell’uso della ricchezza a cui è stato obbligato a rinunciare.
Quale tra i due scegliereste?

(di G. Marini)